Esiste un vasto repertorio musicale associato ai riti funebri ed al compianto, ma sono scarsi gli scritti dotti in proposito, particolarmente nella letteratura psicoanalitica. Il testo di Alec Robertson Requiem: Musica del Lutto e della Consolazione (1968) raccoglie in modo esaustivo buona parte del voluminoso materiale storico da una prospettiva musicologia, con particolare attenzione alla musica della tradizione Cristiana Occidentale. Malgrado l'ampia ambizione della sua ricerca, Robertson ha necessariamente lasciato da parte ampi tratti del repertorio standard, così come la musica di altre tradizioni e culture. Pollock (1975a, b) nei suoi ampi scritti su perdita, cordoglio e lutto ha ampliato il contributo di Robertson, dedicando maggiore attenzione ad alcuni aspetti intrapsichici della musica nel processo del lutto, ed illustrando come la creatività musicale sia influenzata dai processi del lutto e commemorazione. Questo è indicato, sebbene senza una speciale attenzione al lutto, anche da Nass (1975) nella sua esplorazione su ciò che ispira la composizione musicale, e da Feder (1981) nella sua indagine esplorativa sulla nostalgia nella musica di Charles Ives. In più, numerosi contributi, particolarmente nelle aree dell'Olocausto e degli studi sul trauma, hanno esplorato la creatività come risposta ad una perdita traumatica (vedi per esempio Aberbach, 1989; Laub e Podell, 1995).
Questi contributi rappresentano un significativo avanzamento rispetto ai primi tentativi di comprendere e spiegare l'azione reciproca dinamica tra musica e affetti. C'è una lunga storia di tentativi semplicistici di traslitterare l'esperienza affettiva della musica in metafore descrittive, o di ascrivere stati d'animo, qualità emotive, anche colori, a certe chiavi o modi maggiore e minore (per esempio, do minore potrebbe essere considerata una chiave emotivamente più «scura» o più meditativa rispetto a, direi, Fa maggiore, oppure si può ritenere che un brano prevalentemente in re minore sia più malinconico di un pezzo nella chiave più «luminosa» di Sol maggiore).
La visione psicoanalitica prevalente si occupa dell'azione reciproca dinamica tra ciò che può essere grossolanamente distinto come elementi interni (psicologici, psico-acustici, psicosomatici, affettivi, propriocettivi) e quelli esterni (musicali, culturali, ambientali, storico-sociali, politico-estetici). Rose sottolinea questo concetto notando che «le emozioni umane non possono esistere conficcate in una struttura inorganica di natura estetica. La struttura può solo offrire le condizioni percettive necessarie per far avvenire una risposta emotiva» (1992, 216).
L'interazione tra la musica e l'ascoltatore (o il compositore) non è pertanto né una creazione estetica che appartiene in toto alla ricchezza delle emozioni umane né una tavola risonante in modo concordante con la nostra vita affettiva interna, ma piuttosto potrebbe essere più accuratamente costruita come una relazione d'oggetto. Pertanto un incontro con la musica scatena complessi eventi o risposte intrapsichiche. L'esperienza «gestaltica» estetico/emotiva degli effetti della musica dentro di noi, allora, può genericamente essere compresa come contenente percezioni, distorsioni e condensazioni di tempo e memoria, allo stesso modo di fantasie arcaiche, difese e modalità di interiorizzare, esprimere e rispondere agli affetti, il tutto operante all'interno di un processo primario astratto di registrazione, interpretazione, costruzione e ricostruzione dell'esperienza (Stein, 2004). Questa schiera di concetti psicofilosofici è stata sintetizzata da Feder (2004) nella felice nozione della musica come simulacro, la musica come un analogo della totalità della vita mentale.
Tratto da:
Stein, A. (2006). Musica, lutto e consolazione. Rivista Psicoanal., 52:783-812.
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