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Arte e psicoanalisi

Sigmund Freud ricordava come i poeti sanno più di noi. Per Bion i poeti sono i “veri psicoanalisti”, Winnicott si riferisce alla capacità negativa di Keats: ossia la la capacità di un uomo di restare "nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione”.
Lacan sostiene che “le creazioni poetiche generano piuttosto che riflettere le creazioni psicologiche”.
Non è compito della psicoanalisi né di nessun altro, spiegare che cosa l’artista vuol dire con il suo lavoro, neanche l’artista stesso lo sa, e forse è meglio così, ma di soffermarsi su quello che l’opera ci evoca utilizzando i propri strumenti e il nostro personale pensiero. E' ovvio che qualsiasi lettura risente del vissuto emozionale di chi scrive, dei suoi livelli di partecipazione e della sua formazione intellettuale, è necessario sedersi accanto all’artista e alla sua opera nel rispetto della sua esistenza altra rispetto a noi. 
Altra retorica e datata idea è quella che il trattamento analitico inibisca la creatività artistica, pensiero romantico derivato da un’immagine divina e maudit dell’artista, identificando la malattia come presupposto necessario della capacità creativa.
Questo concetto per il Dott. Matteo De Simone è falso, nel senso che la creatività non si sviluppa esclusivamente dal bisogno di ricreare l’oggetto perduto, spesso consiste invece nel creare qualcosa di nuovo nel mondo che già esisteva ma che non aveva ancora un nome.
L’opera d’arte rivela quello che non sapevamo del mondo, dice la Milner:
Nel processo creativo si annulla la distinzione tra soggetto e oggetto, tra interno ed esterno, quindi la creatività si situa nell’oscillazione tra un’attività mentale di superficie e il contenuto indefinito e non differenziato. Non è, dunque, solo il “sentimento oceanico” freudiano in cui c’è fusione tra il sé e l’altro, come il bambino nelle braccia della madre, ma è tramite l’oscillazione che si attiva la creatività.
L’atto creativo per svilupparsi deve attraversare un vuoto, allontanarsi da preconcezioni per accettare ciò che emerge dal profondo, ripristinando la fusionalità originaria ma senza rimanere imprigionati dentro. E’ come entrare in uno spazio vuoto dentro di sé, ove può nascere ogni cosa nuova, una sorta di utero, l’inizio di una trasformazione per poi poter accedere a processi d’integrazione. E' dunque un atto che presuppone la capacità di regredire ad un funzionamento primitivo e meno integrato. La creativa potrebbe bloccarsi quando diviene impossibile all'artista il concerdersi di muoversi fluidamente da uno stato di maggiore ad uno di minore integrazione, poiché lo stato meno integrato potrebbe smuovere quantità di angoscia non tollerabili. In questo senso l'analisi può divenire l'utile strumento per riacquistare la propria possiblità di vivere creativamente e dunque di poter riprendere anche una attività artistica che sia sentita come viva e significativa per l'autore.

Liberamente tratto da:
"Bellezza e tristezza nella poesia di Sandro Penna" di Matteo De Simone

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